La scena è stata quella dei grandi annunci: Donald Trump, con il consueto stile teatrale, ha proclamato un nuovo “Donald Trump Day” e, nel farlo, ha rilanciato una politica commerciale aggressiva che ruota attorno a un vecchio strumento: i dazi. Non è solo una questione economica, ma un messaggio politico chiaro: “America First”, di nuovo.
E ora?
Il mondo intero si interroga sulle conseguenze. Le aziende si preparano, i mercati tremano, l’Europa risponde… e i consumatori? Anche loro, a modo loro, saranno coinvolti. Proviamo allora a capire cosa sta succedendo davvero. Cosa ha deciso Trump.
Il cuore dell’annuncio è questo: tutti i Paesi che esportano verso gli Stati Uniti dovranno pagare dazi minimi del 10%, con aumenti significativi per quelli considerati "scorretti" sul piano commerciale.
Ecco alcuni numeri:
Cina: dazi al 34%, che sommati a quelli già in vigore portano il totale al 54%
Vietnam e Cambogia: rispettivamente 46% e 49%
Giappone: 24%
Unione Europea: 20%
Svizzera: 31%
Brasile e Regno Unito: “solo” 10%
L’obiettivo dichiarato?
Difendere i lavoratori americani e rilanciare l’industria nazionale, riportando la produzione dentro i confini statunitensi.
Reciprocità o guerra commerciale?
Secondo molti sostenitori di Trump, il Presidente non ha fatto altro che rispondere alle ingiustizie subite dagli Stati Uniti per decenni, in nome del principio di reciprocità. In fondo, dicono, molti Paesi già applicano pesanti dazi sui prodotti americani. Perché mai gli Stati Uniti dovrebbero continuare a fare da "supermercato mondiale" a dazio zero?
Il ragionamento è semplice: se l’Europa impone l’IVA sui prodotti americani, perché l’America non può fare lo stesso? Se la Cina impone barriere non tariffarie, perché non difendersi?
Un’opinione che si fa sentire anche tra i cittadini comuni: “Trump ha solo detto basta. I dazi sono una forma di giustizia commerciale, e magari alla lunga aiuteranno anche i consumatori europei, spingendo i nostri governi a rivedere tasse come l’IVA”, scrive un utente in rete.
Il punto di vista opposto: secondo il Prof. Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia aziendale alla Bocconi, i dazi sono una “tassa nascosta” che finirà per penalizzare soprattutto le imprese e, a catena, i consumatori. Non subito, forse, ma nel tempo.
“Non è il singolo prodotto a rincarare, ma l’intera economia a risentirne”, spiega il professore. “I dazi aumentano l’incertezza, frenano gli investimenti e alimentano l’inflazione. Sono sabbia negli ingranaggi dell’economia.”
Per Maffè, l’Europa farebbe male a rispondere con contro-dazi. Meglio, piuttosto, interventi fiscali mirati che colpiscano i veri beneficiari delle rendite globali, come le big tech americane.
Rilanciare l’industria USA? Ma davvero tutto questo aiuterà le fabbriche americane?
Secondo alcuni analisti, la forza dell’America non è più nella manifattura, ma nell’innovazione, nei servizi, nella tecnologia.
Oggi l’industria occupa solo l’8% della forza lavoro americana. Gli Stati Uniti esportano soprattutto software, servizi finanziari e contenuti digitali – difficili da “tassare” come una lavatrice o una bottiglia di vino. E poi, con il mercato del lavoro già saturo e la stretta sull’immigrazione, chi lavorerebbe in queste nuove fabbriche?
Il rischio, secondo molti, è che l’America finisca per produrre di più… ma peggio e più caro. E il cittadino medio, che oggi fatica a permettersi un iPhone o una Tesla, finirà per pagarli ancora di più.
E in Europa?
L’Unione Europea, almeno per ora, non ha subito i dazi più pesanti. Ma non si sente certo fuori pericolo. I dazi al 20% rischiano comunque di colpire molti settori, e Bruxelles ha già fatto sapere che non starà a guardare. La partita non è solo economica: si gioca anche sul piano geopolitico, e si intreccia con i programmi di difesa, il riarmo europeo e le tensioni tra USA e Cina.
Mercati in tensione: che fare?
In mezzo a questo scenario incerto, i mercati finanziari hanno reagito con nervosismo, e molti investitori si chiedono come proteggersi.
Nel 2018 i Dazi di Trump erano avvenuti in due differenti sessioni (gennaio e settembre) ed avevano portato a due correzioni (rispettivamente -10% e -20%) durate circa 3 mesi. Tempi di recupero dai massimi (tra i 6 e i 9 mesi).
Ecco tre strategie che restano valide anche in tempi turbolenti:
🔹 – PAC su azioni ed fondi. Il Piano di Accumulo di Capitale (PAC) è una strategia efficace per chi vuole investire a lungo termine, diluendo l’impatto della volatilità. Si entra gradualmente, si media il prezzo di acquisto e si riduce il rischio emotivo di sbagliare i tempi.
🔹 – Certificati di investimento. Offrono protezione condizionata, meccanismi di airbag, cedole anche in mercati difficili e barriere che limitano le perdite. Strumenti ideali per affrontare scenari incerti, con più controllo sul rischio.
🔹– Strategie obbligazionarie e valutarie. In ambito obbligazionario, strategie come la ladder e la barbell permettono di gestire meglio l’esposizione ai tassi. E nel caso di valute estere, diversificare le scadenze aiuta a minimizzare l’effetto del cambio.
Conclusione: serve visione, non reazione Che piaccia o no, i dazi sono tornati centrali nel dibattito internazionale. Trump li usa come leva politica, i mercati come variabile di rischio, e i governi come strumento di negoziazione. Ma nel mezzo ci siamo noi: cittadini, imprenditori, investitori.
Che fare?
Non farsi prendere dal panico. Le crisi generano instabilità, ma anche opportunità per chi sa muoversi con metodo, lungimiranza e strumenti adeguati.
Come sempre, calma e gesso. Perché anche nella “guerra dei dazi”, vince chi ha una strategia.
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